Una cartolina giunta in ritardo

L’autore

Boris Baljasnyj è nato nel 1957 a Žitomir (Ucraina occidentale). Ha compiuto studi tecnici presso il politecnico di Novočerkassk (Russia meridionale), conseguendo nel 1979 il titolo di ingegnere meccanico. Nel 1980 è stato trasferito in Estonia, dove ha lavorato nel campo della meccanica. Quindi è passato a occuparsi di editoria. È stato consulente letterario dell’Unione degli scrittori d’Estonia, della casa editrice Bri & Ko, della compagnia Davir. Dagli inizi degli anni ’90 si dedica attivamente a tradurre in russo la poesia estone.
Nel biennio 1998-2000 ha conseguito la laurea magistrale in filologia slava presso l’Università di Tallinn; nel 2005 si è addottorato in semiotica e culturologia presso l’Ateneo di Tartu con la dissertazione Gli aspetti semiotici della traduzione e la traduttologia applicata. Attualmente insegna all’università di Tallinn teoria e pratica della traduzione.
È poeta ed editore. Pubblica versi in russo dal 1974 (in Estonia dal 1998). Suoi versi sono usciti nelle riviste «Novye oblaka», «Rec», «Vozdušnyj zmej»; alcuni suoi testi in traduzione italiana sono apparsi nel volume Il vento mi lecca gli occhi (Delta3 Edizioni, Grottaminarda 2021). Ha pubblicato le raccolte poetiche: Ja nikogda ne videl bereskleta [Non ho mai visto la fusaggine] (1989), Svetoten’ [Chiaroscuro] (1997), Monisto [Il monile] (2002), Uzelkovoe pis’mo [La scrittura a nodo] (2018).

I testi

Boris Baljasnyj, catapultato dall’Ucraina all’Estonia in epoca sovietica, è diventato una delle voci più autorevoli della cosiddetta “poesia estone di lingua russa”.
Accanto alla poesia russa c’è la “poesia russofona”: i poeti che scrivono in russo nel cosiddetto “estero vicino” (lo spazio ex sovietico). I poeti russofoni d’Estonia sono estremamente interessanti. Se in Russia si continua con le forme tradizionali, nel punto di contatto tra la Russia e il Baltico, in una periferia marginale di una “grande letteratura”, si accoglie l’esperienza europea. Questi intellettuali baltici hanno sempre percepito di essere alla frontiera tra Russia ed Europa, di essere parte della storia europea, e non della “storia imperiale russa”: si è mantenuto il dialogo con l’Occidente, bruscamente interrotto in altre zone del cosiddetto “impero”. Oggi rappresentano un’interessante cerniera tra Occidente e Oriente: da un lato fanno parte della “diaspora”, vena rilevante della poesia russa contemporanea; dall’altro si ricollegano idealmente ai letterati dell’Europa Unita.

Boris Baljasnyj

Una cartolina giunta in ritardo

Cura e traduzione dal russo

di Paolo Galvagni

ISBN-13: 978887536555-4

2024

pp. 134

cm 15×20,5

€ 15,00

I testi

 

Il giardiniere

 

 

Al giardiniere è apparsa la primavera –

doveva essersi stancato troppo per la neve.

Ma forse un pino nocchieruto di notte

scricchiolava, come scricchiola un carro…

Ma lui forse è semplicemente impazzito,

la vanga stessa gli è balzata sulle mani…

Dissodava, al gelo, senza berretto, senza guardare…

Gettava i semi sulla neve, come sulla terra…

 

Ma a febbraio (?)… non è sopraggiunta la primavera…

 

… e non è cresciuto niente nell’aiuola…

 

 

* * *

 

 

Perché?

 

 

Mi sorprendo per la vanità del giorno,

la nostra vita non è un concorso di risultati.

Non invano una mattina il sole

mi ha accolto nei palmi dorati.

 

E questo bosco s’erge non per

consegnarmi la mia razione d’ossigeno,

e io sono nato libero non per

vivere ficcandomi entro limiti.

 

 

* * *

 

Pietroburgo dopo Brodskij

 


Non si vedono stelle, non si vede la luna,


i ponti (non è estate) non sono sollevati.


La carta, la penna, il tè e una sigaretta…


Verso notte è calato il parapiglia delle impressioni,


e questa gloriosa “Santa Peterburg”:


«… apri la scatoletta, ovvio, ecco questo…».

 

I palazzi, i canali, i fiumi e i ponti…


Forse manca il vuoto,


beh, all’occhio manca l’orizzonte:


lo sguardo si dibatte,

afferrando le case,


non che sia “la città dell’ingegno”,


ma “l’incarnazione del genoma nella pietra”.

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