Un sogno(quasi)reale

L’autore

Simone Ceccarelli (Bagno a Ripoli, 1983) nel 2003 viene sedotto dalle teorie di Freud, e si appassiona alla psicanalisi che inizia ad approfondire mentre trova nella scrittura una valvola di sfogo creativo (la scrittura, che ritiene terapeutica e definisce a getto, lo conduce verso orizzonti inimmaginabili di fantasia). Nello stesso anno inizia un percorso di analisi durante il quale ripercorre frammenti del proprio passato, viene attraversato da un dolore che lo spinge a scrivere memorie. In quell’esperienza viene in contatto con l’Altro, l’inconscio. Altre sue forti passioni sono la letteratura, il teatro, la filosofia, la poesia.

Nel 2013 pubblica La parola silenziosa presso Edizioni del Faro, e nel 2014 Le parole e il gesto inaspettato con la Casa editrice Kimerik. Nel 2016 è ideatore e responsabile di un evento culturale, La fiera del libro di Candeli, che ha visto protagonisti scrittori e poeti di spessore, giornalisti e personaggi della politica. Nel 2018 pubblica, sempre con Kimerik, Lo strano colloquio, romanzo che è stato allestito in forma teatrale in molti palcoscenici di teatri fiorentini.

 

Simone Cecarelli

Un sogno(quasi)reale

ISBN-13: 978887536467-0

2021

pp. 64

€ 12,50

I testi

In Un sogno(quasi)reale Simone Ceccarelli ci conduce all’osservazione critica dell’esistenza attraverso un evento surreale, com’è nel suo stile: questa volta si tratta di un sogno complicato nel quale compaiono personaggi dalla forte connotazione autobiografica che interagiscono con il lettore interpellandone la coscienza e mettendo a nudo le comuni apprensioni, ma anche le fobie e gli istinti in una continua ricerca di senso. Non sfugge all’indagine dell’autore il rapporto con le cronache della complicata realtà dei nostri tempi, dove trova spazio anche la pandemia, esito ultimo di un progresso insensato e volgare, privo di cultura e volto solo al consumismo e all’acquisizione di potere, peraltro effimero.  L’occasione di una nuova vita che si affaccia sul mondo spinge tuttavia Simone Ceccarelli a intra- vedere nella crisi l’opportunità e i segni di un possibile recupero dei valori che con acume definisce “restaurazione psichica”, una rinascita interiore che viene incoraggiata dalla soave musica che accompagna il risveglio.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Annalisa Massari

                                                                                                                                                          * * *

Finalmente giunsi al termine di questa snervante settimana dopo un periodo alquanto irrequieto. Un tormento impensato mi condusse a disinteressarmi al mondo esterno e alla cessazione dell’amore. Smisi di ospitare emozioni e di amare, perché quella parola che descrive il sentimento mi risultava indifferente. Quell’impulso così forte e così potente mi risultò sconosciuto. Ciò che desideravo in quel momento era cadere in un folle sonno che mi avrebbe permesso di tenermi a distanza dalla sapienza e dalla volontà di vivere. Quel disordine filosofico, poetico e anche un po’ psicofisico continuò per tutta la durata di quell’insopportabile sofferenza, che agiva e usurava da una profondità oscura. Quel caos balbettante si interruppe soltanto nel momento in cui l’angoscia decise di mollare la presa, proprio come quando un predatore tortura la sua vittima e poi, di punto in bianco, decide di lasciarla andare, di lasciarla vivere, di darle un’altra possibilità.

Semplicemente, mi ritrovai in uno stato inquieto di vuoto, smarrito nell’esistenza umana, nella noia mortale della quotidianità e carente di desiderio. Era come se avessi perduto momentaneamente la bussola della vita, l’orientamento nel mondo. In quel cupo vuoto mi sono sentito cadere, mancare e infine stringere da una irragionevole aggressività sessuale inconfessata. Essa voleva essere follemente prosciolta, sfogata nell’oggetto femminile, manifestata verso l’esterno, estratta dal mio corpo, liberata dalla prigione in cui era stata nascosta. La trattenni in me. Quella passione erotica rimase muta per un istante, poi si conformò in un violento impulso di morte. Iniziò a farsi sentire sovversiva, minacciosa e distruttiva nei miei confronti e in quelli del mondo. Quella pulsione ribelle e il mio pazzo pensiero straniero si diressero verso di me, perché avevano intenzione di abbattere il desiderio.

In quel palpito si presentò nuovamente un’altra insistente forza sessuale, che aspirava ardentemente a una vicinanza carnale e corporea con una persona del sesso opposto. Sul palco del “mio” teatro l’oggetto voleva consumarsi eroticamente e amarsi profondamente. Poi, un trambusto caotico e una curiosa confusione improvvisi! Tutto si abbuiò sullo sfondo scuro di una profonda ignoranza pittoresca, e il sipario calò. Probabilmente fu opera della funzione linguistica, di un linguaggio o di una parola che stabilì una stretta connessione tra alcuni miei residui mnestici e la realtà circostante.

Dinanzi a quello stimolo psichico rimasi inerme e paralizzato, ma anche affascinato dalla sua influenza e misteriosità. Stamattina ad esempio mi sono svegliato dopo che il mio sonno è stato disturbato da apparizioni terribili e da sogni in cui mi sembrava di cadere da una grande altezza. Mi sono sentito precipitare nel vuoto della vita. Ma adesso non voglio pensarci troppo profondamente, perché per prima cosa mi sto dirigendo in un bar per fare una buona colazione, perché ne parlerò lunedì in analisi dove racconterò una storia, o una bugia, che parli di me e infine perché sembra che oggi il tempo non abbia abbastanza tempo per attendere se stesso. Quindi se il tempo non ha tempo, come posso averne io? Questa sì che è una bella questione! Le nuvole velano il sereno, ma tutto sommato la temperatura è gradevole. Fuori la natura brama un desiderio. Ma quale? La guardo come un bambino, la ascolto come un musicista, la scruto con interesse, la studio con stupore, ma essa si cela al mio sguardo rifugiandosi nell’ombra del mistero, in un giardino pubblico il cui fascino è sfumato, sfuggente, difficile da descrivere. Tutto sommato, penso che probabilmente è soltanto effetto della mia stupida fantasia.

La città è vuota e silenziosa. Poche parole si sentono circolare nell’aria perché sono tutte ammontate là, l’una sopra l’altra come rifiuti organici, di fianco al cassonetto della nettezza. Mucchi di parole sparse qua e là per la strada, abbandonate da tutto e tutti. Tutte danneggiate, stuprate, colpite malvagiamente, private di desiderio, di poesia, di amore, di linguaggio. Le osservo rattristato e loro guardano me sofferenti, con il cuore infranto, scoraggiate, avvilite, deluse dall’inciviltà umana, annoiate da una vita senza evoluzione, disgustate dall’ignoranza. Stanno attendendo di essere tessute nei vari discorsi linguistici e verbali, ma nessuno se ne è preso cura. Ma chi è stato ad abbandonarle e a rovinarle? Quale persona inumana è così irrispettosa nei confronti delle parole? Le parole che sono note soavi del linguaggio, sono la chiave del desiderio, sono la musica divina della vita e della bellezza, sono la speranza dell’esistenza e della riproduzione, sono la salvezza e la liberazione per ognuno di noi. E l’uomo che cosa fa per loro? Le distrugge, le disprezza, le denigra.

Raccolgo le parole una a una e le consegno a quella bambina che, rattristata e anche sconvolta, mi sta osservando. La ragazzina, a differenza delle monete, le prende felice e se ne corre via da quel luogo verso l’interno di un parco, per giocare con loro e per renderle nuovamente vive e operose. Entro nel bar e saluto alcuni miei conoscenti e ovviamente il proprietario del locale, che è un amico di vecchia data. Il solito «Come stai, come va il lavoro, la famiglia, i figli, la scrittura», eccetera. Poi arriva la domanda più che prevedibile: «Che cosa ne pensi della politica?». Resto silenzioso e vado oltre. L’unico argomento di cui non parlo mai è proprio la politica. Tutti i sogni, le filosofie, i sistemi o le ideologie si infrangono contro il mostruoso discorso politico. Non mi piace affatto conversare di politica, la quale macchia di veleno e distrugge l’aspetto poetico delle persone. Preferisco evitare in partenza, per non dover poi sfociare in una polemica.

Chi è il politico? È una persona come noi, più o meno, la quale adesca gran parte della popolazione con umilianti appelli, suppliche e false speranze, che va in cerca di acclamazioni e di approvazioni di tante persone sprovvedute che lo elogiano e lo lodano come un salvatore, come una sorta di celebrità pronta ad aiutare il prossimo. Ma il politico è anche quell’essere che ha deciso di compromettere, anzi direi di vendere, tutti i suoi valori umani, spirituali, culturali, poetici, filosofici, intellettuali per dell’effimero denaro e per lo sporco potere; perché dove c’è il potere c’è anche la malvagità, che ti afferra tra i suoi artigli affilati e non ti molla più, perché da quel momento sei divenuto il suo fedele servitore, il suo umile schiavo, la sua marionetta. Ma perché l’essere umano è disposto a compromettersi per il potere?

«Il potere» sento vociferare da alcune persone, «è quella sensazione d’onnipotenza e d’immortalità che non fa pensare, che non fa percepire il dolore, che allontana i fantasmi del passato e che rende più sopportabili le proprie ossessioni interiori». Suppongo non sia così semplice. Il potere richiede e impone accordi interiori, compromessi vincolanti di cui ci si può pentire prima o poi. Sono convinto che alla fine torna tutto indietro. Francamente provo una grande pena e desolazione per queste persone vuote, malate, accecate dalla ricchezza e dal potere, le quali potrei provare a convincere di lasciar perdere. Ma non adoro convincere gli altri, perché ognuno è libero di pensare come vuole. E se una persona vuole rovinarsi, distruggersi, vendersi, annullarsi, che lo faccia pure. A me non interessa, anzi, osserverò la sua catastrofe demolitrice da una posizione a me comoda e poi magari ci riderò pure sopra, come se fosse stata semplicemente una commedia. Perché il male voluto non è mai troppo.

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