Sono partito, per restare

L’autrice

Franca Macchello (Novi Ligure, 1953) vive tra la campagna del Monferrato alessandrino e l’Appennino Ligure, dopo aver conosciuto numerosi altri luoghi legati alla natura.
È al suo terzo romanzo, dopo Tre quaderni, 48 ore (2020) e Cento uomini nell’alambicco (2020), entrambi pubblicati con Edizioni Joker.

 

I testi

Due mani, una adulta e l’altra di bambino, tracciano su un disegno geografico una retta: i suoi estremi distano 3450 chilometri che segnano il forzato cambiamento di vita di una famiglia siciliana. Il passato però ritorna a chiedere il conto, ed è un conto dolorosissimo.
Dag Olsen ha ricordi vividi di quando aveva un altro nome e parlava un’altra lingua, ma la sua vita si è sviluppata con successo in Norvegia. All’Italia si riavvicina quando decide di acquistare una casa nell’Alto Monferrato, per le vacanze sue e della famiglia di suo figlio.
In quella casa, uomo maturo e divorziato da anni, troverà non solo un legame con il suo Paese natìo, ma anche un amore decisivo nel sollecitare un viaggio: il ritorno alle origini che gli permetterà di fare pace con una terra che non è solo dolore.

Franca Macchello

Sono partito, per restare

ISBN-13: 978887536486-1

2022

pp. 114

cm 13 x 20,5

€ 15,00

* * *

So di avere un pessimo carattere, prima non era così.

Da piccolo e poi da ragazzino ero tutto curiosità ed entusiasmo, mi uscivano dai pori; sempre disponibile a intraprendere nuove conoscenze e a vivere nuove avventure.

Mia madre era il mio mantice, mi punzecchiava, mi incuriosiva e io le tenevo testa, mi interessava tutto ciò che mi proponeva, non sbagliava mai.

Nei suoi occhi chiari brillava la luce della sfida e io la coglievo per sfidarla al gioco che metteva sul tavolo.
«Oggi potrei avere bisogno di te per una ricerca che devo fare per i ragazzi sui vari usi e lavorazioni del grasso della balena, te la senti di venire con me? pensi di essere in grado di darmi una mano?».

Ecco, la sfida era servita.

Quando parlava dei suoi ragazzi si avvaleva sempre di un utile e doveroso distacco per non cadere nell’errore che potesse procurarmi gelosia nei loro riguardi: se parlava di loro con me usava “i ragazzi”, mentre se ne parlava con altri li definiva “i miei ragazzi”.

Mi divertiva quell’eccesso di riguardo ma, invece di dirle che avevo capito già da diverso tempo di essere l’unico ragazzo della sua vita, la lasciavo alla sua attenzione.

Mi ero ripromesso di liberarla da quella schiavitù quando avessi avuto 14 o 15 anni, sarebbe stato il regalo per un suo compleanno.

Anche quel giorno, sul traghetto che mi riportava a casa da scuola, scherzavo con i miei amici come sempre, ma non una parola sulla ricerca da fare con mia madre, nel pomeriggio.

Ci salutammo come facevamo di solito alzando il braccio destro che teneva nella mano un libro: era una tradizione studentesca che pressappoco voleva dire “ci vediamo domani dopo avere studiato”.

Con ancora il mezzo sorriso del saluto sulle labbra notai che davanti a casa mia c’era un piccolo assembramento di persone tutte rivolte a guardare dentro, intravedevo il golfino di zia Francesca, quello rosso; lei si voltava continuamente a guardare fuori e quando mi vide si fece largo, mi corse incontro e, prendendomi la testa tra le braccia, mi portò verso la sua macchina, mi ci spinse a forza, bloccò le portiere e partì a grande velocità.

È da quel giorno che sono cambiato, sono cambiato io, il mio carattere, il mio nome e tutta la mia vita.

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