Ospedale degli Innocenti
(1985-1987)
L’autore
Santiago Montobbio (Barcellona, 1966) è stato pubblicato per la prima volta come poeta nella «Revista de Occidente» nel 1988, e il suo primo libro, Hospital de Inocentes (1989), si è già guadagnato il riconoscimento spontaneo di illustri autori (Onetti, Sabato, Vilariño, Delibes, Cela, Martín Gaite, Valente, tra gli altri). La sua vasta opera poetica, tradotta in un gran numero di lingue, ha raggiunto una diffusione, un riconoscimento e un’importanza internazionali. Nella sua prolifica carriera, spiccano i suoi libri pubblicati da El Bardo: La poesía es un fondo de agua marina, Los soles por las noches esparcidos, Hasta el final camina el canto, Sobre el cielo imposible, La lucidez del alba desvelada, La antigua luz de la poesía, Poesía en Roma, Nicaragua por dentro, Vuelta a Roma e De infinito amor I e II.
I testi
Santiago Montobbio
Ospedale degli Innocenti (1985-1987)
ISBN-13: 978 88 7536489-2
2022
pp. 112
cm 15×20,5
€ 16,00
Ospedale degli Innocenti
Il foglio bianco non è mai solo un foglio bianco:
parlarne è facile, ma non il dire ‒ ed è vero ‒
che la pagina nella più profonda solitudine consumata
è la vita senza versi o piena di poesie che nessuno,
incluso tu, sarà mai in grado di scrivere.
Perché posso avere un amore, un’ombra e un oblio,
e più di questo avrò un modo
per ferirmi, fino alla fine e nella notte
un modo per affinare la mira
per rovinarmi e inseguirmi
attraverso la caccia estenuante e molto strana
dove sono arma e al contempo preda.
* * *
Altre notti
Passeranno altre notti, senza rimedio e somiglianti.
Potrai ripetere gesti e risate già vuote
seduto al bancone di un bar ancora più vuoto,
circondarti di amici distaccati verso l’oblio
e raccontarti una barzelletta identica alle altre
che a qualcuno continuerà a divertire
anche se mai ti ha strappato una risata.
Potrai guardare di nuovo il tuo viso lento e invecchiato,
a ragazze sconosciute prodigare ‒ già prima di partire ‒
le stesse frasi risapute
e fare anche finalmente e da mari oscurati dall’alcool
lo sforzo già così faticoso di cercar di ricordare
in quale buco nascosto di quale strada hai parcheggiato la tua auto.
E, se lo vuoi ancora, pensare che passeranno altre notti
con i suoi quadri solo apparentemente dipinti in altro modo,
ma mai davanti al bicchiere che con tremore crescente reggi
né meno nell’assurda fotografia che agli altri offri
avere l’indecenza di dimenticare la servitù
‒ di ferro freddo e, perché non confessarlo, un po’
e per abitudine già amato zucchero ‒
di dover assomigliare in ogni angolo del tuo corpo
e in qualsiasi notte di questo o altro tempo
a te stesso senza rimedio né desiderio espresso.
* * *
Storia vera
Scesi dal sogno, dal sole e dalla paura.
Scesi e continuai a scendere. Non c’era niente.
Volevo tornar indietro. Ma nella discesa
avevo dimenticato come risalire ancora
all’infanzia del primo verso.
E così (ragazzi e ragazze) sono rimasto solo,
da nessuna parte re e nella mia notte
da nessuno abbandonato. E questa sola
storia vera è il poeta.
* * *
Vita sentimentale
Troppi modi di interpretare la pioggia
offrono i film; troppi modi, troppi occhi
e del tutto eccessiva quella facilità da cartolina ridicola
con cui a metà tra il bere e il fumare
i gesti mascherati di un’immagine
pesano, macinano, assorbono e gestiscono
distanza di ragazza; eccessiva e anche ridicola, questo,
è più o meno quello che mi dico
quando ripasso il manuale degli addii della mia vita
e da questo capisco che è completamente vero
che non suicidarmi è qualcosa che mi ha sempre affaticato,
non suicidarmi – assenza, clinica e altri patetici
ritratti deformati – è stato per me in verità
il grande compito quotidiano
e a causa dell’afonico bagaglio
che il tempo mi ha imposto con clemenza
a questo punto potrei solo laurearmi
con un assurdo elenco di incertezze che mostrasse
a quali estremi rovinosi la goffaggine può portarci
se da sempre ha dominato
l’espressione degli affetti.
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